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Sara Dana. Un racconto dalle carte del Fondo EGELI

07 marzo 2024

Tra le ventisei pietre d'inciampo poste quest'anno sulle strade della città di Milano per "tenere viva la memoria di tutti i deportati nei campi di concentramento e sterminio nazisti che non hanno fatto ritorno nelle loro case", due sono dedicate a Sara Dana e a sua madre Lea Behar, la cui storia abbiamo ricostruito anche attraverso le carte conservate nel Fondo EGELI (Ente Gestione e Liquidazione Immobiliare) della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde.

Sara nasce il 16 ottobre 1927 a Milano, seguita pochi anni dopo dalla sorella Stella. I suoi genitori Giuseppe e Lea Behar sono ebrei di origine turca, immigrati in Italia a metà degli anni Venti in cerca di fortuna e lavorano come commercianti ambulanti di biancheria nei mercati milanesi. Nel 1935 muore Giuseppe ma Lea può contare sulla grande famiglia del marito: abitano tutti vicini in diverse case in affitto nella zona Nord - ovest di Milano. Nel 1938 con le leggi razziste i Dana perdono la licenza di ambulanti e la cittadinanza italiana, nel 1942 Lea Behar si sposta temporaneamente a Cantù insieme alle figlie dove trova lavoro come domestica presso la famiglia Modena. Nell'ottobre 1943 le loro strade si separano: Sara, di salute cagionevole, è ricoverata presso il Pio Istituto di Santa Corona a Pietra Ligure, mentre Lea e Stella ritornano a Milano nell'abitazione di via Casella 41.

La mattina dell'8 novembre 1943 Lea Behar si reca presso la Comunità ebraica per ritirare un sussidio di vedovanza, e lì viene sorpresa da una retata compiuta dalla Gestapo sotto la guida di Otto Koch: i nazisti arrestano e interrogano tutti i presenti, cercando di scovare il "tesoro" del Tempio e uccidendo brutalmente il profugo Lazzaro Araf. Lea Behar viene incarcerata a San Vittore nel IV raggio, quello dedicato agli ebrei, deportata da Milano con il primo convoglio che parte dal binario 21 della Stazione Centrale il 6 dicembre 1943 ed uccisa in data e luogo sconosciuto, forse all'arrivo ad Auschwitz.

Mentre la sorella Stella si nasconde con i nonni e lascia la sua abitazione di via Casella, Sara - che non ha notizie - invia dall'ospedale di Pietra Ligure alla famiglia una cartolina che viene rintracciata, forse per una delazione. La cartolina conduce i tedeschi al suo ricovero e il 29 dicembre un ufficiale e un sottoufficiale delle SS, insieme al comandante locale dei carabinieri, si recano nell'ospedale di Pietra Ligure e arrestano Sara "ritirando la malata e trasportandola in automobile verso ignota destinazione", come denuncia la direzione dell'ospedale in una lettera del 15 gennaio 1944 al capo della provincia di Savona e oggi conservata presso la Fondazione Cdec. Anche Sara sarà incarcerata a San Vittore e deportata verso Auschwitz da Milano il 30 gennaio 1944 nello stesso convoglio su cui viaggia Liliana Segre. Stella sarà l'unica a sopravvivere, nascosta da amici, ricongiungendosi dopo la guerra con i nonni, che avevano trovato rifugio in un palazzo bombardato in via Cenisio, e gli zii reduci da Bergen Belsen.

I pochi arredi di famiglia lasciati nell'abitazione di via Casella, che erano stati confiscati dall'EGELI attraverso il Credito fondiario della Cariplo, non verranno mai restituiti. Si trova nelle carte un tentativo di rintracciare la famiglia, ma forse per incuria, per la confusione tra i diversi familiari, fors'anche per il timore del costo del saldo di gestione, i beni non vengono ripresi e finiscono venduti dal Monte di Credito su Pegno nel 1951 in un'asta pubblica per ripagare i costi di gestione.

Dal 7 marzo 2024 una pietra d'inciampo in via Casella 41 a Milano ricorda le vite spezzate di Sara e di sua madre Lea.
Un ulteriore approfondimento sulla famiglia Dana si trova sul sito Vite Attraverso realizzato da Archivio Storico Intesa Sanpaolo, Fondazione Cdec e ASP Golgi Redaelli.

È inoltre possibile ascoltare la storia di Sara in un podcast a lei dedicato, realizzato da un gruppo di studentesse delle classe 5° dell'Istituto ITE E. TOSI di Busto Arsizio, all'interno di un progetto didattico svolto presso l'Archivio Storico Intesa Sanpaolo. Buon ascolto!