Istituto Mobiliare Italiano

Fondo per il Finanziamento dell'Industria Meccanica (FIM), 1947 - 1958

segnatura
 2 FIM
struttura
2 subfondi: Subfondo 1 "Registri" (4 serie) Subfondo 2 "Istituzione e attività del FIM e del FIM in liquidazione" (5 serie)
storia istituzionale e biografia

Il Fondo per il Finanziamento dell'Industria Meccanica (FIM) fu istituito con Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 8 settembre 1947, n. 889, con lo scopo di "facilitare alle imprese industriali italiane del settore meccanico la loro liquidità finanziaria e l'ordinato svolgimento ed incremento della produzione anche ai fini della occupazione operaia e nei riguardi della esportazione" [art. 1 decreto istitutivo]. Il FIM fu finanziato da un fondo di 5 miliardi iniziali messo a disposizione dal Tesoro dello Stato e dallo stanziamento di 2.500 milioni annui per vent'anni.

Il FIM è costituito come gestione speciale dell'IMI per conto dello Stato senza alcuna responsabilità patrimoniale dell'Istituto; i rapporti tra IMI e FIM furono regolati da una convenzione stipulata il 3 marzo 1948 [cfr. IMI, Carte prodotte dalla segreteria organi statutari, Convenzioni e leggi, b. 4, fasc. 1, sfasc. a] .
Secondo il decreto iniziale il FIM poteva effettuare finanziamenti per favorire i programmi di esportazione delle imprese attraverso anticipazioni in lire e dietro la cessione totale o parziale dei crediti derivanti da tali esportazioni; poteva inoltre garantire aumenti di capitale e sottoscrivere e acquistare nuove azioni; infine poteva favorire le imprese nello smobilizzo delle loro partecipazioni azionarie in settori industriali diversi da quello meccanico.
La legge istitutiva del FIM fu modificata con Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1325, che prevedeva la possibilità per il Fondo di concedere crediti all'esportazione anche dietro pagamento in merci e la facoltà di assumere obbligazioni convertibili in azioni emesse dalle aziende finanziate.

Per deliberare sulle operazioni di finanziamento fu costituito un Comitato composto da 7 membri tra cui tre indipendenti esterni all'amministrazione, il Ragioniere generale dello Stato e i Direttori generali del Tesoro, dell'Industria e alle valute.
Il primo Comitato era composto da:
Roberto Tremelloni (Presidente, sostituito nel 1948 da Angelo Corsi che rimase alla guida del Fondo fino alla liquidazione), Ernesto Rossi, Mario Ferrari Agradi, Gaetano Balducci, Gino Bolaffi, Ernesto Santori e Luigi Attilio Jaschi; il segretario era il Direttore generale dell'IMI Silvio Borri, sostituito da Achille Brizzi.

Per la concessione dei finanziamenti il Comitato, dopo aver analizzato la documentazione presentata con la domanda, affidava a due periti, uno tecnico e uno amministrativo, il controllo sugli impianti e sulla reale situazione finanziaria dell'azienda. Le relazioni dei periti erano quindi sottoposte al presidente del Fondo che, coadiuvato da consulenti esperti in materia, ne analizzava i contenuti e quindi riferiva al Comitato, che poteva decidere di concedere il finanziamento, di richiedere ulteriori indagini sull'azienda o di respingere la domanda.
Nella concessione dei finanziamenti il Comitato si sarebbe dovuto basare sia sulle garanzie reali offerte dalle società sia sulle effettive possibilità di risanamento della stessa ma, come si legge nella prima relazione sull'attività del FIM redatta da Roberto Tremelloni e inviata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 9 novembre 1947,

"Il Comitato ha peraltro ritenuto unanimemente di tener conto di particolari situazioni di grave urgenza, in una prima fase del proprio lavoro; e, pur esaminando con ogni rigore le domande presentate, si è riferito, quando possibile, allo spirito della legge istitutiva laddove l'attenersi ai rigidi criteri desiderati da un esame approfondito avrebbe pregiudicato in modo irreparabile imprese probabilmente risanabili. [...] Dei tre tipi di imprese che si rivolgono al FIM per l'assistenza finanziaria (imprese irrimediabilmente malate, imprese risanabili e imprese sane) il Comitato ha deliberato di escludere senza altro le prime e di dare la precedenza alle seconde sulle terze" [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, b. 21, fasc. 1].

Nonostante queste affermazioni di principio l'assistenza del Fondo fu indirizzata spesso verso imprese non risanabili e scarsamente produttive, soprattutto a causa delle pressioni ricevute da esponenti politici e dai prefetti che temevano con la chiusura delle fabbriche e il licenziamento dei dipendenti il sorgere di disordini sociali. Le proteste degli operai furono comunque molteplici anche con episodi di occupazione delle fabbriche, molto spesso a causa del mancato pagamento degli stipendi, altre volte a causa dei licenziamenti decisi in seguito ai piani di risanamento delle aziende, tuttavia gli amministratori incaricati dal FIM e gli stessi titolari delle aziende cercarono di stringere accordi con le commissioni di fabbrica e le associazioni sindacali per evitare il più possibile l'insorgere di questi episodi.

Le difficoltà nella gestione del FIM furono evidenti ai membri del Comitato fin dall'inizio dell'attività, infatti l'industria meccanica italiana versava in condizioni pessime e molto spesso si chiedeva l'intervento del Fondo più per evitare la chiusura delle fabbriche e il conseguente licenziamento degli operai che per l'effettiva possibilità di risollevare le aziende in crisi. A questo proposito in una nota riservata di Ernesto Rossi al Presidente del Consiglio De Gasperi del 4 dicembre 1947 si legge:
"Nella attuale situazione politica italiana il FIM, così com'è costituito, niente può fare per contribuire al risanamento dell'industria meccanica. Le disposizioni date col decreto 889, a tutela dei denari dei contribuenti, non hanno alcun significato se il FIM deve servire a pagare i salari alla fine della settimana [...] D'altra parte l'organizzazione del FIM è tale che non potrebbe mai assolvere i compiti che gli sono stati affidati [...] Ritengo che il FIM, qual'è oggi, nonostante la buona volontà dei suoi membri e la indubbia onestà e competenza del suo presidente, non possa servire altro che:
1) gettare altre decine di miliardi dei contribuenti nel pozzo senza fondo in cui sono già andati i miliardi dei decreti 367 e 449 ed in cui stanno andando i milioni dei decreti americani concessi all'industria con la garanzia dello Stato;
2) a trasformare in industrie di Stato molte delle industrie più "decotte" che non potranno mai essere risanate [...];
3) a distruggere completamente il meccanismo dei finanziamenti alle industrie con i risparmi privati perchè nonostante arrivi ultimo e faccia le operazioni più sballate, il FIM per legge posterga tutte le garanzie ipotecarie date ai precedenti creditori;
4) a rafforzare il dominio sulle maestranze degli agitatori sindacali più scalmanati, dando loro la possibilità di dimostrare che il governo, settimana per settimana, subisce i loro ricatti [...] Il Governo [...] avrebbe interesse a affidare ad un unico organo il compito di risanare l'intero settore dell'industria meccanica e dell'industria siderurgica [...] questo organo non potrebbe che essere l'IRI" [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, b. 21, fasc. 1]
.

La percezione che il Fondo avrebbe agito solo come distributore di finanziamenti a pioggia senza per questo incidere realmente sulle capacità produttive e sul risanamento delle aziende meccaniche era molto diffusa anche nel periodo immediatamente successivo alla sua costituzione, come si evince dagli articoli di stampa usciti sia prima sia dopo la sua costituzione [cfr. FIM, FIM generale, b. 7, fasc. 2].

L'attività del FIM nel periodo 1947 - 1950 fu molto intensa: il Fondo concedette all'incirca 67 miliardi di lire di finanziamenti indirizzate in larga parte verso le aziende del Gruppo Breda e del Gruppo Caproni e in misura minore verso la Ducati, la Fiat, le imprese del Gruppo IRI, e verso industrie di dimensioni minori come SIAI - Marchetti, Franco Tosi, Olivetti, Nebiolo e altre [sulle somme stanziate dal FIM cfr. Francesca Fauri, Il Piano Marshall e l'Italia, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 123 - 125].
Furono poche le aziende finanziate che riuscirono a estinguere per intero il debito verso il Fondo: nella maggior parte dei casi i pagamenti delle rate furono minimi o addirittura nulli. Per quanto riguarda le imprese sopra citate le uniche che estinsero nei tempi previsti il debito furono la Fiat, le imprese dell'IRI e la Olivetti; la Breda, le aziende Caproni, la Ducati, la SIAI - Marchetti e le Reggiane, per citarne solo alcune, non riuscirono mai a estinguere i loro debiti e di conseguenza la maggioranza delle loro azioni passò in mano al FIM, che ne assunse il controllo nominandone gli amministratori o decise di metterle in liquidazione [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, bb. 26 - 27 e 29 - 37; FIM, Pratiche di mutuo, bb. 38 - 40].

Le inadempienze delle aziende mutuatarie e le pressioni della stampa sul mancato risanamento delle aziende [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, b. 24, fasc. 5] portarono il Governo a decidere la messa in liquidazione del FIM. La legge per la messa in liquidazione del Fondo fu preceduta da un ampio dibattito all'interno del Comitato FIM e della stessa compagine governativa: il problema principale continuava a essere, infatti, quello del risanamento delle aziende che ormai potevano essere considerate statalizzate.
Il Governo e il Comitato concordavano sul fatto che attraverso nuove erogazioni di finanziamenti fossero portati a termine i risanamenti della Breda, della Ducati, delle Reggiane e di altre imprese minori, ma non concordavano sulle modalità con cui attuare la liquidazione.
Il Comitato proponeva due diverse soluzioni: o affidare la gestione della liquidazione all'IMI assistito da un apposito comitato, oppure passare all'IRI le aziende in quel momento a carico del FIM. Il Governo proponeva, invece, di affidare la liquidazione del Fondo all'ARAR [cfr. FIM, Verbali delle riunioni del Comitato FIM e del Comitato FIM in liquidazione b. 14, fasc. 4].
Alla fine di questo ampio dibattito, svoltosi anche sulla stampa, fu emanata la legge 17 ottobre 1950, n. 840, che metteva in liquidazione il FIM e prevedeva la creazione di un apposito Comitato che, entro il 31 dicembre 1951, avrebbe dovuto compiere tutte le operazioni necessarie alla realizzazione dei crediti e dei diritti del FIM e all'attuazione del programma di sistemazione delle aziende assistite dal Fondo.
Il Comitato per raggiungere questi fini era autorizzato anche a compiere operazioni diverse da quelle previste dal decreto istitutivo [art. 2].

Il nuovo Comitato era costituito da tre membri (Balduccio Bardocci, presidente, Mario Braidotti e Pietro Onida) e per lo svolgimento delle sue attività era assistito da una Commissione consultiva formata da sei esperti tra cui due rappresentanti delle associazioni sindacali dei lavoratori e uno dei dirigenti d'azienda [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, b. 37, fasc. 19, sfac. b]. In base alla legge e alla delega di poteri effettuata dal Comitato FIM in liquidazione la gestione del Fondo rimase all'IMI [cfr. FIM, Verbali del Comitato FIM e del Comitato FIM in liquidazione, b. 15 e IMI, Carte prodotte dalla segreteria organi statutari, Convenzioni e leggi, b. 4, fasc. 1 sfasc. b].

La liquidazione del FIM durò per quasi venti anni (dal 1951 al 1968) durante i quali il Fondo continuò a sostenere finanziariamente alcune delle aziende sotto il suo controllo mentre per altre si provvide alla liquidazione coatta.
Tappe fondamentali nel processo di liquidazione del Fondo furono:
la cessione di alcune aziende, IMM e AVIS, all'IRI;
la liquidazione coatta delle aziende del Gruppo Caproni, con il salvataggio delle sole FNA e CAB vendute ad altri gruppi industriali;
il tentativo, attraverso la creazione di società di esercizio, di risanare le aziende ormai di proprietà del Fondo, come per il Gruppo Breda, per cui fu creata la Finanziaria Ernesto Breda con il compito di gestire le nuove società in cui furono suddivise le attività del Gruppo, per le Officine Meccaniche Reggiane, soppiantate dalle Nuove Reggiane, e per la Ducati, per cui si previde la divisione delle attività secondo il settore di appartenenza.

Nel 1962 con la creazione dell'EFIM tutti i pacchetti azionari in possesso del FIM furono passati al nuovo ente.
Infine nel 1967 fu saldato il debito dello Stato nei confronti della Cassa Depositi e Prestiti derivato dalla convenzione del 26 maggio 1949, che prevedeva lo sconto presso la Cassa dei certificati di credito del Tesoro emessi per finanziare il FIM [cfr. FIM, Attività del FIM e del FIM in liquidazione, b. 24, fasc. 1]. La chiusura della liquidazione del Fondo fu sancita con decreto ministeriale del 17 ottobre 1968.

contenuto

Documentazione riguardante l'industria meccanica, la costituzione e l'attività del FIM e la successiva liquidazione dello stesso. Relazioni e corrispondenza sui finanziamenti concessi a varie società e sui piani preparati per il risanamento delle stesse. Verbali delle riunioni del Comitato FIM e del Comitato FIM in liquidazione.

criteri di ordinamento

Il Fondo, composto da 73 pezzi, tra buste e registri, risultava ad un primo esame abbastanza ordinato e omogeneo. Dopo una ricognizione generale si è deciso di procedere a un raggruppamento della documentazione per affinità di contenuto e quindi di riordinare seguendo la falsariga della struttura data alle carte dal soggetto produttore e la cronologia degli avvenimenti. Alcune delle buste presenti riportavano infatti la numerazione originale e all'interno un indice dei fascicoli. Per prima cosa si è deciso di distinguere all'interno del fondo due subfondi, uno contenente i registri e l'altro le buste con la documentazione generale sulla nascita e l'attività del FIM. Dopo questa fase preliminare si è passati all'analisi vera e propria delle carte e si è deciso di strutturare il primo subfondo, composto da 17 registri, in quattro serie omogenee: 1. Protocollo 2. Delibere del Comitato FIM 3. Delibere del Comitato FIM in liquidazione 4. Libro presenze. All'interno della serie 2 è presente anche una rubrica delle delibere. Il riordinamento del secondo subfondo è risultato meno lineare del precedente. La documentazione presentava, infatti, la compresenza di buste con numero storico e di altre senza numerazione ma con documentazione omogenea alle prime: in questo caso si è quindi deciso di inserire le buste non numerate prima o dopo quelle numerate seguendo l'ordine cronologico. Si è inoltre riscontrata la presenza di documentazione pressoché identica in più buste, soprattutto per la parte relativa ai verbali del Comitato che in vari casi erano presenti in più copie che si differenziavano solo per alcune annotazioni ms., per questo motivo si è proceduto all'accorpamento della documentazione in un'unica busta. Alla fine di questo lavoro di riordinamento il subfondo risultava composto da 45 buste ed è stato suddiviso in 5 serie omogenee: 1. FIM generale 2. Verbali delle riunioni del Comitato FIM e del Comitato FIM in liquidazione 3. Attività del FIM e del FIM in liquidazione 4. Pratiche di mutuo 5. Bilanci. Per l'intitolazione delle serie uno e tre si è scelto di seguire l'intestazione riportata su tutte le buste con numero storico; per le altre serie si è deciso di attribuire un titolo che richiamasse il contenuto della documentazione. Alla fine del lavoro di riordinamento si è quindi proceduto a un totale ricondizionamento della documentazione.

materiale perduto
Registro: "7° libro delibere Comitato FIM in liquidazione" (aprile 1956 - marzo 1957, delibere dalla n. 475 alla n. 522)
valutazione e scarto
già effettuati
strumenti di ricerca
Inventario
consultabilità
Libera, come da regolamento dell'archivio storico.
copyright
Intesa San Paolo
luogo della documentazione
Italiano, inglese.
fonti complementari
Fonti complementari interne: 1. Rubrica riunioni CE, CdA, Comitato CN, reg. 2 2. Verbali CE, regg. 9, 14 3. Segreteria Ordinaria, poi Segreteria Organi Statutari, Carte prodotte dalla Segreteria Organi Statutari, Convenzioni e leggi, b. 4 4. Servizio Studi, bb. 48, 49, 50, 53, 54 5. Ufficio Ispettorato: prepratiche e relazioni 6. Serie Mutui ordinaria, pratiche 1749, 2532, 2557, 2562, 2581, 2587, 2594, 2595, 2605, 2644, 2655, 2677, 2683, 2695, 2722, 2744, 2767, 2781, 2785, 2786, 2798, 2801, 2807, 2831, 2848, 2852, 2865, 2870, 2886, 2895, 2904, 2960, 2965, 2982 7. Servizio ragioneria, corrispondenza generale di contabilità, bb. 4, 46, 47, 48, 50, 153, 157, 170, 194, 195, 196, 203, 219, 228, 273, 274, 275, 276, 277, 278, 287, 309, 315, 332, 335, 374, 375, 376, 377, 378, 379, 387, 402 8. Servizio ragioneria, documenti di bilancio, bb. 471, 477 9. Servizio ragioneria, RSI, b. 492 10. Servizio ragioneria, registri contabili vari, regg. 30, 38, 39, 52, 54, 62, 94, 95, 96, 110, 111, 112, 132, 261, 263, 265 Fonti complementari esterne: 1. ACS, PCM, Gabinetto, Atti 2. ACS, PCM, Segreteria De Gasperi, b. 14 3. ACS, PCM, CIR, b. 116 4. ACS, Ministero dell'Industria del Commercio e del Lavoro 5. ACS, Ministero delle Partecipazioni Statali, Efim 6. Archivio della Società Italiana Ernesto Breda per Costruzioni Meccaniche (conservato presso la Fondazione ISEC) 7. Aeroplani Caproni. Archivio della liquidazione (conservato presso il Centro per la Cultura d'Impresa di Milano) 8. Archivio Tremelloni (conservato presso il CIriEC)
bibliografia

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2. Bruno Bottiglieri, Valerio Castronovo e altri, L'Italia della ricostruzione, Roma, SIPI, 1994, pp. 81-112, 327-338
3. Bruno Bottiglieri, Roberto Tremelloni, in Alberto Mortara (a cura di), I protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, Milano, Nino Aragno Editore, 2012, pp. 1003-1036
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5. Antonia Carparelli, Ernesto Rossi, in Alberto Mortara (a cura di), I protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, Milano, Nino Aragno Editore, 2012, pp. 885-928
6. Valerio Castronovo e altri, La Breda. Dalla Società Italiana Ernesto Breda alla Finanziaria Ernesto Breda: 1886 - 1986, Milano, Amilcare Pizzi Editore, 1986, pp. 20-25, 207-219, 243-246, 268-275
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8. Marco Doria, L'industria meccanica italiana nella Ricostruzione, in "Rivista di storia economica", a. 4, n. 1(1987), pp. 35-76
9. Francesca Fauri, La strada scabrosa del risanamento economico delle aziende: la missione impossibile del FIM, in "Imprese e Storia", n. 36 (lug. - dic. 2007), pp. 193-217
10. Francesca Fauri, Il Piano Marshall e l'Italia, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 85-125
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12. Fabio Lavista, Funzione e formazione dei dirigenti. Per una biografia di Gino Martinoli (1901 - 1996), in "Imprese e storia", n. 23 (gen. - giu. 2001), pp. 89-140
13. Giorgio Lombardo, L'IMI. Centralità per la ricostruzione (1945 - 1954), Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 21-25
14. Giorgio Lombardo, Vera Zamagni, L'Istituto Mobiliare Italiano 1931 - 1998, Bologna, Il Mulino 2009, pp. 138-142, 159-172
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3. Banca d'Italia, Adunanza generale ordinaria dei partecipanti 1950, Roma, Banca d'Italia, 1951, pp. 29-30, 86
4. Stefano Battilossi, L'Italia nel sistema economico internazionale. Il managment dell'integrazione: industria, finanza, istituzioni 1945 - 1955, Milano, Franco Angeli, 1996
5. Andrea Colli, La grande stagione dell'IRI, in Franco Amatori (a cura di), Storia dell'IRI II. Il miracolo economico e il ruolo dell'IRI (1949 - 1972), Roma - Bari, Laterza, 2013, pp. 74-75
6. Piero Craveri, De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 90-91
7. Cir, The Development of Italy's Economic System in the Framework of European Recovery and Cooperation, Roma, Tipografia Apollon, 1952, p. 150
8. Pier Paolo D'Attorre, Il Piano Marshall. Politica, economia, relazioni internazionali nella ricostruzione italiana, in "Passato e presente", n. 7 (gen. - apr. 1985), pp. 31-64
9. Marcello De Cecco, La politica economica durante la ricostruzione 1945 - 1951, in Stuart J. Woolf, Italia 1943 - 1950 la ricostruzione, Bari, Laterza, 1974, pp. 283-318
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11. Giampiero Fumi, Dalla fine del fascismo allo statuto del 1948, in Valerio Castonovo (a cura di), Storia dell'IRI I. Dalle origini al dopoguerra (1933 - 1948), Bari - Roma, Laterza, 2012, pp. 584-588
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13. Rosario Romeo, Breve storia della grande industria italiana (1861 - 1961), Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 236-237
14. Mariuccia Salvati, Stato e industria nella ricostruzione, Milano, Feltrinelli, 1982, pp. 357 sgg.
15. Pasquale Saraceno, Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell'esperienza italiana, Milano, Giuffrè, 1975, pp. 70-71, 152.
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